Rischio asteroidi: l'enigma di Tunguska
L’Università degli Studi di Lecce, attraverso il Dipartimento di Fisica ed il gruppo di Astrofisica, organizza un seminario pubblico del Prof. Mario Di Martino dell'Osservatorio Astronomico di Torino dal titolo “Rischio asteroidi: l'enigma di Tunguska ”.
Il 30 giugno 1908 poco dopo le 7 del mattino, ora locale, in Evenkia (Siberia Centrale) nelle grandi foreste della taigà a Sud del Circolo Polare Artico apparve improvvisamente nel cielo una colonna fiammeggiante proveniente da sud-est: "una palla di fuoco brillante come il Sole" discese silenziosamente finché, a circa 8 km di quota, si verificò un'immane esplosione, mentre una densa nube di fumo si sollevava dalla regione interessata dall'evento. La palla di fuoco fu vista entro un raggio di 1.500 km di distanza, un'onda sismica fu registrata attraverso l'Eurasia, mentre l'onda di pressione atmosferica effettuò il giro del pianeta, infine un insolito bagliore notturno fu visibile nei giorni successivi dall'Europa alla Siberia. La foresta venne rasa al suolo per oltre 2.000 chilometri quadrati, con 60 milioni di alberi privati dei rami e sparsi per terra allineati tra loro, ad indicare la direzione dell'onda d'urto. L'energia dell'esplosione è stata stimata intorno ai 15 Megaton, oltre mille volte la bomba di Hiroshima. Il luogo dell'esplosione era così difficile da raggiungere che venne esplorato per la prima volta da una spedizione organizzata dallo scienziato russo Leonid Kulik solo nel 1927, con lo scopo di cercare di capire cosa fosse successo quel giorno di 19 anni prima. Tutte le testimonianze raccolte nei decenni successivi indicarono che la causa dell'esplosione era stata la caduta di un corpo celeste, con un diametro fra i 50 e i 100 metri e dotato di una velocità di alcune decine di chilometri al secondo. Ma c'erano delle evidenti stranezze. Come mai sul terreno non si trovava un grosso cratere, simile al Meteor Crater dell'Arizona, formato circa 50.000 anni fa da un corpo celeste di dimensioni analoghe, e come mai non fu possibile rintracciare pezzi macroscopici di questo oggetto, come meteoriti, nonostante le molte accurate ricerche? Negli anni Cinquanta, questi strani aspetti dell'evento indussero alcuni ricercatori a proporre ipotesi più o meno fantascientifiche, come un'esplosione nucleare forse causata da un'astronave aliena caduta sulla Terra ed altre originali, pubblicate anche su riviste scientifiche specializzate, relative all'impatto sulla Terra di un minibuco nero o di un pezzo di antimateria. Oggi le conoscenze riguardo al ruolo che gli impatti extraterrestri hanno avuto nella storia del nostro pianeta sono di gran lunga maggiori rispetto a qualche decennio fa. L'esplorazione della Luna e dei i pianeti e satelliti ha mostrato che la collisione tra corpi interplanetari e la conseguente formazione di grandi crateri, è un evento relativamente comune nel Sistema Solare. Poco meno di vent'anni fa una nuova scoperta ha indicato che sulla Terra i maggiori tra questi impatti hanno probabilmente causato vere e proprie catastrofi climatiche ed ecologiche, come quella che 65 milioni di anni fa provocò l'estinzione in massa dei dinosauri e di circa i due terzi delle altre specie viventi. L'indizio decisivo è poco evidente ma convincente per gli scienziati: nel sottile strato di argilla che su tutta la Terra segna il confine temporale fra l'epoca dei dinosauri (il Cretaceo) e quella successiva (il Terziario) è presente infatti una quantità anomala di iridio, elemento chimico raro nella crosta terrestre ma relativamente abbondante nelle meteoriti. All'inizio degli anni 90 la scoperta dell'enorme cratere di Chicxulub (circa 180 km di diametro), sepolto sotto centinaia di metri di sedimenti fra lo Yucatan e il Golfo del Messico e di età pari proprio a 65 milioni di anni, ha fornito un argomento decisivo a favore del rapporto tra i grandi impatti di corpi cosmici e le catastrofi climatiche ed ecologiche nella storia della Terra. A quel periodo risale la scomparsa dei dinosauri e di circa il 40% delle specie biologiche allora viventi. Quanto sono frequenti gli eventi come quelli di Tunguska? Le stime concordano sul fatto che in media un impatto di questo tipo può verificarsi ogni qualche centinaio di anni. Va sottolineato però che si tratta solo di una media: niente impedisce che gli impatti avvengano anche a intervalli più brevi (o più lunghi). Gli effetti dipendono naturalmente da dove si verifica la collisione: se essa avvenisse sul 5% della superficie terrestre dove la densità di popolazione è relativamente elevata, o anche in una zona marina vicina alle coste (su cui arriverebbe un violento maremoto, o tsunami) le vittime potrebbero essere numerose. E almeno per ora, data la debole luminosità dei corpi interplanetari di questo tipo quando non sono molto vicini alla Terra, e’ molto improbabile che il "proiettile" possa essere scoperto in anticipo, in modo da poter prevedere l'impatto ed evacuare la zona in pericolo. Una spedizione organizzata nel luglio 1999 dall'Osservatorio Astronomico di Torino e dall'Università e CNR di Bologna, in collaborazione con alcuni colleghi russi, ha effettuato un'esplorazione sistematica nei dintorni del sito, al fine di cercare di stabilire la natura del corpo la cui esplosione devastò la taigà. In particolare, sono stati prelevati numerosi campioni di sedimenti dal fondo del lago Ceko, lontano pochi chilometri dall'epicentro dell'esplosione; sono state effettuate riprese fotografiche aeree multispettrali e rilevamenti topografici della regione circostante l'epicentro. Le difficoltà logistiche da superare sono state molte: si è dovuto infatti organizzare un campo base per oltre 30 persone in una regione paludosa della taigà, a un centinaio di chilometri dal più vicino centro abitato (Vanavara), raggiungibile solo con l'elicottero. Le preziose e numerose apparecchiature necessarie per le ricerche sono state sistemate nel campo base, da cui i ricercatori si sono mossi per realizzare quanto programmato. Non si è trattato della più numerosa delle spedizioni effettuate in Tunguska, ma certamente di quella dotata delle apparecchiature più moderne. E questo lascia sperare che dopo quasi un secolo si possa dare un contributo decisivo alla soluzione dell'enigma di Tunguska.